La prima domanda che sorge spontanea quando una persona si chiede se un film valga la pena di essere visto grosso modo corrisponde a: “di cosa tratta esattamente?”, la risposta che si può dare del nuovo progetto di Abel Ferrara, ovvero The Projectionist, è incredibilmente semplice: di cinema. Dunque il secondo quesito che nasce nella mente di un possibile spettatore è: “che cos’è esattamente il cinema?”. In meno di due ore certo il regista non pretende di dare una risposta esaustiva a questa domanda ma certo è che ne analizza tanto i pregi quanto i difetti. Attraverso lo sguardo di un uomo che si potrebbe dire che ha letteralmente vissuto la sua vita a base di pane e cinema, il regista dona allo spettatore uno sguardo disincantato e disilluso della macchina dei sogni. Esattamente queste sono le due parole chiave che servono per definire cos’è e cosa non è tanto la settima arte quanto questa pellicola di Abel Ferrara: sogno e macchina. La seconda rappresenta l’industria, il business e i soldi. La prima mostra l’incanto, la magia e ciò che di più bello può essere una pellicola. Tuttavia non può esistere l’uno senza l’altro. Il cinema è sempre stato, è e sempre sarà tanto una macchina quanto un sogno. Così all’interno del film The Projectionist vediamo la storia di questa meravigliosa arte, attraverso lo sguardo di un singolo uomo che rappresenta un quartiere. Non solo. Lo sguardo della voce narrante di questo documentario non appartiene a un solo uomo, così come non è solo di un quartiere della Grande Mela che stiamo parlando. Già perché Abel Ferrara mostra qualcosa di più: un viaggio – dall’isola di Cipro agli Stati Uniti d’America, un sogno, una speranza e un cambiamento. Il viaggio che compie il protagonista lo fa anche lo spettatore, iniziando proprio dalla sua terra natale per poi approdare nella New York degli anni Settanta. Quella città che non dorme mai, che dona possibilità, sogni e anche tanta fatica per realizzarli. Così il viaggio continua, non è più una migrazione fisica. Con la seconda parte di The Projectionist il cammino che percorre lo spettatore è all’interno di ciò che era il cinema in quegli anni, mostra ogni aspetto ed essendo un ritratto fedele di questo mezzo di comunicazione, dimostra che accanto ai sogni e alla magia del mezzo cinematografico ci sono anche mere questioni economiche.
La bellezza del mezzo cinematografico risiede nel saper incantare il pubblico, nel conquistarlo e nel riuscire a staccarlo dalla quotidianità per un paio d’ore regalandogli una storia. È esattamente questo che racconta il protagonista di The Projectionist. Lui si è innamorato di questa sospensione del tempo, di questo sogno della durata di due ore. Eppure, accanto a questa magia, Abel Ferrara, insieme al suo protagonista, ci ricorda che per poter fabbricare questo sogno c’è bisogno di un lato economico. Che non ha nulla di romantico, anzi, è spietato e non guarda in faccia nessuno. Nemmeno la storia di un singolo uomo, di un quartiere o della storia stessa della settima arte. Per poter esistere i sogni in questo mondo hanno bisogno di soldi. Tuttavia essi non possono nulla senza la passione e la voglia del pubblico di continuare a sorprendersi davanti a uno schermo, all’interno di una sala buia, in compagnia di perfetti sconosciuti, che condividono l’esigenza di scoprire una nuova storia. Quindi cinema è anche condivisione. È la costante ricerca di un sogno che per quanto breve possa essere è sempre e comunque una magia, che funziona grazie ai soldi, al marketing, alle spietate regole dell’industria cinematografica ma che solo con questi non può funzionare. Cinema è anima e corpo. È sogno e macchina. Esattamente come questo film. Quindi per tornare alla domanda iniziale, la risposta è che The Projectionist di Abel Ferrara parla di cinema, di soldi, di marketing, di un viaggio, di un quartiere, della storia della cinematografia, insomma, parla e racconta di noi.